I 35 gradi della sera precedente a Barcellona sembravano lontani una stagione e, mentre cercavo di non far notare troppo i miei pantaloncini e le mie “reef”, risposi di si al finanziere spiritoso.
Non avevo mai visto il monte Bianco e, in quell’alba estiva, sembrava lo avessi colto di sorpresa, come se mi fossi presentato a casa di qualcuno la mattina all’improvviso. Il sole illuminava magicamente solo il ghiacciaio da farlo sembrare una cattedrale di luci al neon mentre i contorni erano ancora immersi del colore notturno.
Ripensai divertito al viaggio, a tutte le ore dormite sui sedili, a come eravamo arrivati in Algarve con due auto in 5 persone partendo in nave da Livorno, (cabina per 4 posti) per sbarcare a Barcellona dopo un giorno.
A come abbiamo abbandonato rapidamente, con rammarico delle ragazze, l’allora città olimpica per arrivare in Portogallo trentasei ore e 12 tori dopo.
A quando siamo ritornati a Siviglia (percorrendo l’autostrada del quinto centenario appena inaugurata) perché un Argentino ubriaco incontrato in un locale a Lagos ci aveva detto che suonava di bandoneòn all’expò mondiale e che ci avrebbe ospitato (non si poteva perdere l’expò mondiale e ancora non vedevo un’onda!). La cosa comica fu che diceva la verità.
Il campeggio con la cucina nel portabagagli dell’auto per via di un maestralaccio continuo che in quel punto soffiava da terra. Lo stesso maestralaccio che ci fece scuffiare un secondo dopo che cazzai la randa della barca noleggiata grazie alla mia t-shirt del vincente “Moro di Venezia” che mi dava l’aria da esperto. Cabo de san Vincente con Leonardo, il purista (da noi ribattezzato frocio), che rapito dallo spettacolo naturale, se ne stava beatamente nudo in contemplazione dell’oceano, dall’alto della roccia che segna la fine dell’Europa.

Poi finalmente le onde, Lisbona, Santa Cruz, Peniche, (supertubos) Nazaré, l’acqua fredda, il porto, il pesce, la cipolla (che non mi piace)che ti ficcavano pure nel caffellatte, il viaggio di ritorno e di nuovo a Barcellona, ex città olimpica. Infine la notte appena trascorsa, con le cartine in macchina che a poco ci servirono per non sbagliare strada
L’unica a non essere per niente divertita dell’inaspettata appendice sul monte Bianco era la povera Peugeot 106, fino al giorno precedente compagna di viaggio di una sfigata Citroen visa dell’ 85 di fantozziano sapore, guidata da una coppia con cui avevamo condiviso il tour e con la quale avevano litigato il giorno precedente.